Franco Pappalardo La Rosa — Farandoletta

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Franco Pappalardo La Rosa è nato a Giarre. Ha pubblicato numerosi saggi critici su poeti e narratori italiani del Novecento. È autore anche di opere di narrativa, quali: Il vero Antonello e altri racconti, Acireale, Lunarionuovo, 1985; Angelo, Torino, Ananke, 1999; Il caso Mozart, Roma, Gremese, 2009 (finalista al premio Brancati-Zafferana 2009); e Rondò. Tre racconti, Milano, Mimesis, 2012. Dirige, per le Edizioni dell’Orso, I Colibrì, Collana di testi fra Giornalismo e Letteratura

Descrizione

Un cronista sportivo d’origine siciliana, che lavora presso un giornale del Nord, viene inviato dal suo direttore a Taormina, per scrivere un servizio sul ritrovamento d’un dipinto di Antonello da Messina esposto al pubblico per la prima volta. Egli, in tal modo, si trova catapultato in un universo che, per ragioni di lavoro, s’era lasciato alle spalle, ma del quale conserva un’inconscia nostalgia (tant’è vero che, sì, parla e scrive i suoi articoli in italiano, ma, quando riflette o racconta, lo fa nel dialetto materno).
L’impatto col paesaggio, la luce, i colori, i profumi dell’Isola, uniti all’incontro con strani personaggi e col vecchio pittore di carretti (che sembra conoscere vita, morte e miracoli del Maestro messinese) nella cui soffitta il dipinto è stato rinvenuto, lo irretiscono, via via, in una trama di sensazioni, di memorie, d’emozioni, che credeva ormai non gli appartenessero, e che, al contrario, come un fuoco nascosto dalla cenere, continuano a covargli dentro.
Eccolo, allora, ritrovarsi coinvolto in una controversa vicenda di dote, la cui destinataria è una giovane signora ispano-veneziana, che l’attrae sentimentalmente e gli lascia intendere d’essere l’incarnazione d’una dama uccisa secoli prima dal marito. Ed ecco che la verità si sfaccetta, nella narrazione, e ciò che appare evidente lascia sempre trapelare un suo lato oscuro che lo stravolge. Fino ad indurre lo stesso cronista a dubitare che tutto – viaggio, accadimenti, incontri, personaggi… – non sia che il frutto della sua immaginazione o, meglio, di quella labile sostanza di cui (per dirla col grande Bardo) siamo fatti noi e i nostri sogni.